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Iàto
(dal latino hiàtus, "apertura"): consiste nell'incontro
di due vocali, che vengono considerate due sillabe differenti e perciò
non si elidono né si contraggono. Così, per esempio, nel
verso carducciano Né io sono per anche un manzoniano (Davanti
San Guido, v. 70) nell'incontro tra né e io
non si verifica contrazione tra la vocale finale di né
e la vocale iniziale di io, per il fatto che la vocale finale
di né è accentata. [vedi anche Poesia
al metro]
Idiotismo
(dal greco idiotismós, "espressione particolare"): particolare
forma espressiva di una data lingua, che non possiede alcun corrispondente
preciso nelle altre lingue.
Incipit
(3° persona singolare del verbo latino incìpere, "cominciare":
incipit liber, "il libro comincia così"): l'inizio di
ogni testo. Il termine opposto è explicit
(explicit liber, "il libro finisce così") con cui si indica
la parola o la parte finale di un testo.
Ipàllage
(dal greco hypallássein, "scambiare, porre sotto a un'altra
cosa"): consiste nell'attribuire a una parola qualcosa (qualificazione,
determinazione o specificazione) che si riferisce a un'altra parola della
stessa frase. Così, nei versi: ... un ribatte / le porche
con sua marra pazïente (G.
Pascoli) l'aggettivo paziente è riferito all'arnese
marra, ma logicamente va riferito a un, cioè
al contadino che usa la marra e che è paziente.
Ipèrbato
(dal greco hypérbaton, "trasposto, passato oltre"): consiste
nello spezzare l'ordine normale delle parole di una frase, separando elementi
che di solito sono uniti tra loro (per esempio, un nome dal suo aggettivo
o un complemento dal nome che lo regge). Così, nel verso: Mille
di fiori al ciel mandano incensi (U.
Foscolo) è spezzato e invertito l'ordine normale tra il complemento
di specificazione di fiori e il nome incensi (= profumi)
che lo regge.
Ipèrbole
(dal greco hypér, "al di là", e bállo,
"getto", "atto di gettare oltre, atto di esagerare"): consiste nell'esprimere
un concetto o un'idea con termini esagerati, tanto esagerati che, presi
alla lettera, risulterebbero inverosimili o assurdi. Molto frequente nel
linguaggio comune ("Ti ho aspettato un secolo"; "Mi si spezza il cuore";
"Facciamo quattro passi"; "Te l'ho detto un milione di volte"), l'ipèrbole
viene usata per moltiplicare l'effetto di un discorso, con risultati,
di volta in volta, comici, ironici o sarcastici o semplicemente enfatici:
La mia anima / visse come diecimila. (G. D'Annunzio)
Ipertesto
Testo di ordine superiore (iper-testo, in quanto contenente
più testi ad esso sottoordinati) caratterizzato da una struttura
non lineare o sequenziale ma reticolare, con collegamenti diretti tra
le parole che contiene e i concetti o le informazioni ad esso associati.
Un ipertesto, dunque, non si legge riga dopo riga o capitolo dopo capitolo
ma si consulta liberamente passando da una pagina all'altra attraverso
collegamenti (link) evidenziati da parole per lo più sottolineate.
Un grande ipertesto è Internet, all'interno del quale esistono
ipertesti più puntuali che trattano singoli argomenti. Come ipertesti
sono costruiti anche i CD-ROM.
Ipotàssi
(dal greco hypótaxis, "dipendenza"): subordinazione.
Ironìa
(dal greco éiron, "colui che interroga fingendo
di non sapere"): consiste nell'affermare il contrario di ciò che
si pensa e si vuole fare intendere. Frequente nel linguaggio comune, dove
dà colore ed efficacia al discorso ("Che sapientone!", detto di
un ignorante), l'ironia è usata con abilità da Alessandro
Manzoni, nei Promessi
sposi. Si vedano le parole con cui Renzo rinfaccia ad Agnese
di averlo mandato a consultare l'Azzeccagarbugli: Bel favore che m'avete
fatto! M'avete mandato da un galantuomo, uno che aiuta veramente
i poverelli!. (A.
Manzoni)
Affine all'ironia è l'umorismo, che consiste nel mescolare,
nell'esposizione di un fatto, il serio con il faceto. Si veda, per esempio,
il seguente passo manzoniano: Il borgo [di Lecco] aveva il vantaggio
di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli, che insegnavano
la modestia alle fanciulle e alle donne del paese..., e sul finir dell'estate
non mancavano mai di spingersi nelle vigne, per diradar l'uva e alleggerire
ai contadini la fatica della vendemmia. (A.
Manzoni)
Quando l'ironia non è mossa dal sorriso, ma dallo sdegno o dal
rancore, si ha il sarcasmo. Così, nei versi seguenti, Dante,
ripensando ai tanti fiorentini che, nell'Inferno, ha trovato tra i ladri,
esclama: Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande, / che per mare
e per terra batti l'ali, / e per lo 'nferno tuo nome si spande! (Dante)
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