Sofocle
(gr. Sophoklês, lat. Sophocles)

Notizie biografiche
Colui che la tradizione classicistica ha a lungo considerato il più maturo e perfetto fra i tragici della triade comprendente anche Eschilo ed Euripide, e che certo fu il più apprezzato e fortunato sulle scene attiche, nacque ad Atene, nel demo di Colòno, intorno al 496 a.C. Proveniente da una famiglia di alto rango, nel 480 a.C., secondo una tradizione che tuttavia non è indenne da sospetti, avrebbe guidato ancora giovinetto il coro cui fu affidata la celebrazione della vittoria di Salamina contro i Persiani di Serse. All’anno 468 a.C. data la sua prima vittoria negli agoni tragici ateniesi, con il dramma Trittolemo.

Nel 443 a.C. egli fu eletto presidente del collegio degli Ellenotàmi, i magistrati preposti alla riscossione e all’amministrazione del tesoro della Lega Delio-Attica, fulcro della potenza economica e militare di Atene; il fatto che tali magistrati venissero sempre scelti fra i membri della classe censitaria più alta basta a dimostrare l’appartenenza di Sofocle alla buona società ateniese, così come il suo impegno politico in anni cruciali per la politica della città fa pensare a un diretto coinvolgimento nell’ambiente pericleo, al quale appartengono a vario titolo intellettuali come Protàgora, Anassàgora, Erodoto; a quest’ultimo Sofocle fu probabilmente legato da personale amicizia, come dimostra la notizia di un’ode per lui composta al momento della sua partenza per la colonia di Turii, e come confermano le non rare eco erodotee all’interno dell’opera di Sofocle.

Nel 441 a.C. il drammaturgo ricoprì un’altra importante carica politica (secondo alcune notizie antiche, forse un poco ingenue, per il successo riportato l’anno precedente con la tragedia Antigone): egli fu stratego nel collegio presieduto dallo stesso Pericle, che proprio in quell’anno dovette fronteggiare la rivolta di Samo; Sofocle, in particolare, fu a capo di una flottiglia inviata a Chio e a Lesbo per raccogliere rinforzi da inviare contro l’isola ribelle. In tale occasione ebbe modo di incontrarlo – e lasciò su di lui un’importante testimonianza autoptica conservata da Ateneo – il filosofo, poeta e drammaturgo Ione di Chio, che descrive Sofocle come un uomo amabile, scherzoso e pacifico; nello stesso senso vanno del resto le testimonianze dei comici, che ebbero per lui un rispetto davvero fuori dal comune (si pensi invece agli strali e alle parodie di Aristofane contro Euripide, ma anche – pur nell’affetto e nell’ammirazione – contro il vecchio Eschilo). Ma la carriera politica di Sofocle proseguì anche dopo la morte di Pericle, con il quale – nonostante l’opinione contraria di alcuni moderni – è difficile credere che i rapporti non siano stati buoni.

Una seconda strategia (tecnicamente, l'assunzione della carica di stratego) di Sofocle è testimoniata per l’anno 427 a.C. (il poeta militò accanto a Nicia), e poiché egli apparteneva ai ceti più ricchi di Atene non stupisce trovare il suo nome fra quello dei probùli (grosso modo, «consiglieri») che si riunirono in collegio all’indomani del disastro militare siciliano (413 a.C.) e che posero le basi per il colpo di Stato oligarchico del 411 a.C.: secondo un’importante testimonianza di Aristotele, Sofocle non condivideva appieno le ragioni dei ‘golpisti’, ma considerava necessaria la soluzione extracostituzionale da loro adottata. Nel 409 a.C., ormai finita la breve esperienza oligarchica, la tragedia Filottete manifesta piuttosto chiaramente l’adesione di Sofocle al rientro in Atene, caldeggiato anche dai nobili più estremistici, di Alcibiade, l’ambiguo e geniale aristocratico che per qualche tempo fu l’idolo della democrazia ateniese minacciata dall’interno e dall’esterno, negli anni più duri della guerra contro Sparta.

Verso la fine della sua vita, si ritiene che Sofocle si sia dedicato completamente a quel culto di Asclepio la cui statua egli aveva accolto in casa sua nel 420 a.C.; dopo la sua morte, allo stesso Sofocle fu proprio per questo tributato un culto eroico, con il titolo di Dexíon («l’accogliente», con riferimento all’ospitalità concessa alla statua cultuale del dio). La morte del poeta va collocata fra il 406 a.C. (quando egli, alla notizia della morte di Euripide, impose al coro e agli attori di vestire a lutto durante la presentazione proagonale delle tragedie) e il 405 a.C. (quando le Rane di Aristofane danno Sofocle per già morto).

Le opere
Il grande filologo alessandrino Aristofane di Bisanzio attribuiva a Sofocle 123 drammi di sicura autenticità, con i quali egli riportò ben 18 vittorie (una cifra notevole, se si pensa che Eschilo risultò vincitore solo per 13 volte, e che Euripide dovette accontentarsi di 5 successi). Di tanta produzione i manoscritti medievali non hanno conservato che sette tragedie, che possiamo disporre con una certa verosimiglianza nel seguente ordine cronologico: Aiace (attribuibile forse agli anni Cinquanta) – Antigone (442 a.C.) – Trachinie (di poco successiva al 438 a.C., se è vero che in essa si possono cogliere alcune eco dell’Alcesti di Euripide, che è appunto di quell’anno) – Edipo re (di poco successiva al 429 a.C., se in essa si vuol cogliere un’allusione all’epidemia di peste che infuriò ad Atene nei primi anni della guerra peloponnesiaca) – Elettra (datazione incerta, ma verosimilmente tarda; forse di poco anteriore all’ultimo decennio del V secolo a.C.) – Filottete (409 a.C.) – Edipo a Colono (405 o 401 a.C.: la tragedia fu rappresentata postuma, ad opera del nipote Sofocle il Giovane). A queste sette tragedie vanno aggiunti i cospicui resti di un dramma satiresco, gli Ichneutái («I segugi»), restituiti da una papiro di Ossirinco pubblicato nel 1912: si tratta del dramma satiresco meglio conservato dopo il Ciclope di Euripide.

La tecnica drammatica
Sofocle era noto nell’antichità per una serie di innovazioni apportate alla tecnica drammaturgica attica: in particolare l’aumento del numero dei coreuti da 12 a 15. Non vanno probabilmente considerate innovazioni assolute, ma sembra che siano state elevate a norma da Sofocle, le altre soluzioni drammaturgiche che la tradizione gli attribuisce: l’uso della scenografia pittorica, l’introduzione del terzo attore (impiegato da Eschilo nell’Orestea [458 a.C.], che comunque è posteriore all’inizio della carriera di Sofocle) e la trilogia ‘slegata’, priva cioè di un unico nucleo narrativo comune alle tre tragedie presentate a concorso (una particolarità che si registra comunque già con la trilogia dei Persiani di Eschilo [472 a.C., con Fineo e Glauco]). Da sempre la critica considera come tratto peculiare delle tragedie sofoclee il ruolo riconosciuto al protagonista, figura eroica dominante e solitaria, spesso contrapposta a un antagonista che si oppone al piano dell’eroe. È sempre intorno a tale figura dominante che si dispongono i personaggi secondari, abbiano essi funzione di ausilio o di ulteriore opposizione. L’eroe sofocleo si presenta così quale un emarginato, un singolo reso estraneo alla comunità civile e spesso in lotta contro di essa (emblematici i casi di Antigone, di Aiace, di Filottete, di Edipo); di qui la frequenza tanto dei monologhi, quanto degli agoni verbali che oppongono il protagonista ai suoi antagonisti. Ma la figura dell’eroe sofocleo è anche e soprattutto quella di un grande sconfitto, che vede il suo progetto scontrarsi contro le esigenze della polis (Antigone) o contro la volontà degli dèi (Aiace; quando invece l’eroe giunge a una forma di reintegrazione sociale, ciò avviene per diretto intervento divino – come nel Filottete – o addirittura tramite la morte, come nell’Edipo a Colono).

Per ciò che concerne lo stile, una presunta testimonianza dello stesso Sofocle, raccolta da Plutarco, indurrebbe a riconoscere un’iniziale aderenza ai moduli audaci e genialmente ampollosi di Eschilo, quindi un tentativo di creare un proprio stile scabro e artificiosamente essenziale, infine la comprensione della necessità di adattare lo stile ai diversi soggetti e ai singoli personaggi. È a quest’ultima fase che si limita la testimonianza fornita dalla tragedie superstiti: ed è in base a tali caratteri che la scrittura sofoclea è stata da sempre additata come esempio di ‘plurilinguismo’ stilistico, aperto a tutte le variazioni, dal sublime al disadorno, dal lirico al parlato, in un completo e magistrale dominio dei mezzi retorici (canonico il confronto con il contemporaneo sviluppo della sofistica), che va di pari passo, sul piano formale, con lo straordinario equilibrio architettonico dei suoi intrecci narrativi.

[Federico Condello]