Esule/Esilio

L’esilio come arma politica
Sin dall’età arcaica l’esilio è una delle più affilate armi di lotta politica all’interno dell’aristocrazia greca. Mentre in Omero l’esilio (gr. phugé) è limitato a singoli individui, in genere macchiatisi di crimini o di atti giudicati infami (celebri esuli del mito furono per esempio Teucro, il fratello di Aiace Telamonio; Fenice, il pedagogo di Achille; Edipo, autoesiliatosi da Tebe, come poi suo figlio Polinice), sin dai lirici arcaici si trova testimonianza dell’esilio impiegato come arma politica e rivolto a intere fazioni di nobili in lotta per il predominio sulla polis: documentazioni in tal senso offrono Alceo (ma nei conflitti interni di Lesbo dovette essere coinvolta anche Saffo, che secondo la tradizione subì l’esilio) e Teognide. Nella raccolta attribuita a quest’ultimo si leggono numerosi e accorati lamenti di nobili costretti all’esilio da Megara (un motivo letterario simposiale che molti studiosi mettono in relazione con le sconfitte che l’aristocrazia della città dovette subire, al principio del VI secolo a.C., ad opera di una fazione descritta come ‘popolare’).

Durata e destinazione dell’esilio, in età arcaica, dovevano essere assai variabili: per Alceo abbiamo notizia di periodi relativamente brevi, trascorsi all’interno della stessa Lesbo e dunque a pochi chilometri da Mitilene (ma la pressoché coeva Saffo, secondo la tradizione, avrebbe conosciuto un esilio siciliano); diversa la situazione rappresentata dai carmi di Teognide (o a lui attribuiti), che menzionano addirittura la Sicilia e che descrivono l’esilio con accenti di autentico strazio, ponendolo in relazione – a quanto pare – con iniziative di confisca patrimoniale a danno dell’esule.

Certamente però gli aristocratici, durante l’esilio, potevano contare su un diffuso reticolo di ospiti internazionali e su un radicato senso della solidarietà di casta . La situazione non cambia con il progredire della vita politica greca (ad esilio, per esempio, sono spesso sottoposti i tiranni o gli aspiranti tali, come in Atene accadde più volte a Pisistrato, e come poi accadde definitivamente a suo figlio Ippia). Una vera e propria letteratura di esilio nacque però solo nel V secolo a.C. e divenne una costante della cultura greco-romana, a dimostrazione dell’universale diffusione dell’istituto (casi celebri di esuli furono per esempio Ovidio e Seneca).

L’ostracismo
La legge ateniese codificò l’esilio nell’istituto del cosiddetto ‘ostracismo’ (il nome deriva dagli óstraka, cioè cocci di ceramica, su cui veniva inciso il nome del politico da esiliare), che venne formalizzato sul finire del VI secolo da Clistene, ma non fu applicato prima del 488 a.C. (quando venne esiliato Ipparco, un discendente del tiranno Pisistrato).

In base alla procedura dell’ostracismo, durante l’assemblea plenaria della sesta pritania (una delle partizioni cronologiche che scandivano la durata in carica del buleuti ateniesi) si decideva se applicare o no una votazione per ostracismo (ostrakophoría), da tenersi probabilmente qualche mese più tardi: la misura era adottata qualora uno o più politici dessero l’impressione, per eccesso di prestigio o per altre motivazioni, di «aspirare alla tirannide» (questa almeno era la motivazione originaria e ufficiale della procedura, che nel corso del V secolo a.C. si adattò nella pratica alle mutate condizioni politiche); un cittadino poteva essere esiliato se il suo nome era votato a maggioranza da un numero di elettori il cui quorum era fissato probabilmente a seimila (ma i dettagli sono assai discussi).

È evidente che il meccanismo si prestava a distorsioni di ogni sorta: campagne denigratorie, acquisto dei voti, addirittura falsificazioni (non si deve dimenticare, peraltro, che la maggioranza dei cittadini di Atene era verosimilmente analfabeta: la ricerca archeologica ha mostrato che gli óstraka con i nomi dei potenziali esiliati venivano perciò preparati con anticipo per essere poi distribuiti ai votanti).

In caso di esilio, il politico ostracizzato doveva restare lontano dalla polis per dieci anni, rinunciando ai suoi diritti di cittadino, ma non ai suoi beni patrimoniali. Ostracizzati illustri furono Aristide, Temistocle, Cimone, Tucidide di Melesia (gli ultimi due avversari di Pericle, il cui padre Santippo fu peraltro a sua volta ostracizzato). L’ultimo esilio per ostracismo di cui si abbia sicura notizia data al 417 a.C. e toccò al politico Iperbolo. Istituti analoghi all’ostracismo ateniese – che cadde in disuso nel corso del IV secolo a.C. – sono attestati ad Argo e a Siracusa.

[Federico Condello]