Bacchilide
(gr. Bakchulídes, lat Bacchylides)

Cenni biografici
Tipico rappresentante della melica corale professionistica di età tardo-arcaica e classica, Bacchilide nacque a Iùlide, nell’isola di Ceo, intorno al 520 a.C. (la tradizione cronografica antica ne poneva l’akmé, fissata in genere intorno ai 40 anni, nel 467 a.C.). Egli, che era nipote di Simonide, fu quindi un contemporaneo di Pindaro, con il quale entrò forse in accesa rivalità. Bacchilide fu attivo in numerose corti della Grecia continentale e della Magna Grecia, in particolare ad Atene, a Egina, in Tessaglia, in Macedonia e a Siracusa (dove fu accompagnato da Simonide: pare che Bacchilide vi abbia risieduto piuttosto stabilmente a partire dal 476 a.C.). Ignote sono le ragioni che lo avrebbero costretto a un esilio nel Peloponneso fra il 462 e il 452 (ne fa fede Plutarco). Il 452 a.C. è anche l’anno dell’ultima opera databile di Bacchilide, di cui si pone la morte in anni di poco successivi alla metà del V secolo a.C.

Opere
Gli Alessandrini divisero l’opera di Bacchilide in nove libri, organizzati secondo i numerosi generi praticati dal poeta: sei libri comprendevano le liriche per gli dèi (ditirambi, peani, prosòdi, iporchèmi, parteni), tre libri le liriche per gli uomini (epinici, encomi e carmi amorosi). Sino alla fine dell’Ottocento, tuttavia, di una così poderosa produzione non erano noti che pochi frammenti di tradizione indiretta; ma una serie di fortunati ritrovamenti papiracei, e in particolare quello che nel 1896, ad Al-Kussîyah, restituì ben 20 componimenti in buone condizioni, hanno infinitamente arricchito la conoscenza del lirico. Sono così ora ben noti 14 epinici (cioè canti corali destinati alla celebrazione di una vittoria nelle competizioni atletiche) e un consistente numero di canti cultuali appartenenti in primo luogo al genere del ditirambo, quindi ad altri generi come il peana, l’encomio e il carme amoroso.

Databili con una certa sicurezza sono gli epinici 3 (468 a.C., per Ierone di Siracusa vincitore a Olimpia con la quadriga), 4 (470 a.C., per Ierone di Siracusa vincitore a Delfi con la quadriga: è la stessa occasione per cui Pindaro compose la prima Pitica), 5 (476 a.C., per Ierone di Siracusa vincitore a Olimpia con il cavallo singolo: per la stessa occasione Pindaro compose la prima Olimpica), 6 (452 a.C., per Lacòne di Ceo vincitore a Olimpia nello stadio), 13 (485 a.C. ca., per Pìtea di Egina vincitore nel pancrazio agli agoni nemei: per la stessa occasione Pindaro compose la quinta Nemea).

La struttura di tali odi appare del tutto affine a quella già nota per i carmi pindarici: grandi triadi strofiche centrate su una ‘narrazione’ mitica di notevole estensione. Più difficile dare un’esatta valutazione (e una datazione) delle opere classificate dagli Alessandrini, e quindi dai nostri papiri, come ditirambi: hanno creato gravi difficoltà fra i moderni gli scarsi o nulli riferimenti al culto di Dioniso (a cui il ditirambo fu originariamente dedicato) e soprattutto il carattere pressoché esclusivamente narrativo delle odi. In questo senso Bacchilide sembrerebbe testimoniare di quella fase del ditirambo che, abbandonato l’antico legame con il culto dionisiaco, si va orientando verso una caratterizzazione eminentemente narrativa (come poi riterrà normale e ormai ovvio Platone), spesso aperta altresì a sviluppi dialogici (cfr. il Ditirambo 18) che parrebbero dare ragione alla teoria genetica di Aristotele, secondo cui il ditirambo costituirebbe la matrice della tragedia.

Un luogo comune della critica antica e moderna è il confronto di Bacchilide con il coetaneo Pindaro: confronto che dovette avvenire già in vita, presso la corte di Ierone a Siracusa (dove pare che Bacchilide abbia avuto complessivamente la meglio), ma soprattutto nelle trattazioni critico-letterarie successive: e in questo caso la superiorità di Pindaro sul poeta di Ceo (che come «usignolo» si autocelebra in uno dei suoi componimenti) è stata da sempre proclamata senza esitazioni.

Appartenenti entrambi a un comune orizzonte ideologico, che prevede una totale subalternità del poeta rispetto agli interessi e all’orientamento politico del committente aristocratico o tirannico, sia Pindaro che Bacchilide proseguono la tradizione avviata da Simonide e da altri poeti itineranti del tardo arcaismo (per esempio Anacreonte): comune è peraltro il riferimento a un complesso di temi e motivi eulogistici (celebrativi) tipici di tutta la lirica corale greca, che in Bacchilide appaiono rifusi in un insieme in cui la narrazione mitica risulta il dato dominante (celebri i racconti relativi alla discesa agli Inferi di Eracle nell’Epinicio 5, o del viaggio sottomarino di Teseo nel Ditirambo 17).

[Federico Condello]