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capitolo 8
Giovanni Boccaccio
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Un tema di discussione, anche abbastanza aspra, fra i due è proprio la valutazione
della
Commedia
di Dante. Boccaccio non riesce a persuadersi che il suo
praeceptor
non
apprezzi convenientemente quello che a lui sembra un capolavoro senza pari, e gli invia
in dono un codice di suo pugno della
Commedia
invitandolo a leggerla; ma Petrarca non
raccoglie, e in un’epistola delle
Familiares
(XXI, 15) elenca tutti i motivi per cui non può
condividere l’entusiasmo dell’amico.
Oltre a dedicare a Dante queste e altre amorevoli cure di copista, Boccaccio nel 1351
scrive un
Trattatello in laude di Dante
(più precisamente
De origine, vita, studiis et moribus viri
clarissimi Dantis Aligerii florentini, poetae illustris, et de operibus compositis ab eodem
), un’auten-
tica apologia dantesca. Ammesso che nell’esaltazione del grande poeta vibri l’orgoglio
comunale fiorentino, condiviso da Boccaccio con altri commentatori del periodo, le
motivazioni del suo culto per Dante sono però più profonde e personali. Boccaccio
ammira innanzi tutto Dante per quello stesso motivo per cui a Petrarca non può non
increscere, e cioè il fatto che per primo ha trasformato il volgare in una lingua letteraria,
perfettamente utilizzabile. In secondo luogo, Dante ha dimostrato che l’uso del volgare
non deve necessariamente essere limitato a campi ben
precisi, ma può allargarsi a qualsiasi tema, anche molto
elevato. Infine Dante usa il volgare per farsi capire dalla
grandissima maggioranza dei parlanti e per «fare utilità
più comune a’ suoi cittadini e agli altri italiani».
Due uniche colpe o difetti egli riconosce all’amatomaestro:
un’eccessiva partecipazione agli affari pubblici e politici
e un eccesso di passionalità amorosa, se non addirittura
di lussuria, che invece lo perseguita per tutta la vita. Per il
resto, a partire dalla sua forza d’animo nell’affrontare le
avversità, la sua figura si staglia esemplare nell’orizzonte
poetico e ideale di Boccaccio, fino al punto di diventare
una delle chiavi più importanti per comprendere il grande
esperimento del
Decameron
.
4. Le opere prima del
Decameron
Se si esclude un gruppetto di
Rime
, scritte probabilmente fra il 1327-1340 e il 1360, for-
temente debitrici alla matrice stilnovista, tutta la produzione di Boccaccio è di carattere
narrativo. Questo non vuol dire che sia stata realizzata esclusivamente in prosa, anzi:
in tutta la fase iniziale Boccaccio usa, per raccontare le sue storie, indifferentemente
la prosa e la poesia. Quando sceglie di narrare in poesia, i metri preferiti sono proprio
quelli che, nei decenni precedenti, hanno dimostrato le maggiori potenzialità narrative:
la terzina, ovviamente di matrice dantesca, e l’ottava, che in quegli anni già dilaga nella
produzione di cantari popolareschi e che Boccaccio “inventa” come forma metrica let-
teraria. Oppure sceglie qualcosa di misto fra l’una e l’altra, ovvero il prosimetro: anche
in questo caso sulla base dell’esempio dantesco (la
Vita nuova
), il prosimetro rappresenta
una specie di compromesso tra le due opzioni precedenti.
Con questa sua pulsione narrativa, Boccaccio raccoglie un altro grande filone della lette-
ratura moderna, che parte dalle esperienze orientali e arriva alle opere in volgare italiano
composte fra
Xiii
e
Xiv
secolo
.
Una tradizione, dunque, meno ricca di quella lirico-poetica
praticata da Dante e Petrarca: ecco perché Boccaccio deve sperimentare strade diverse pri-
… e con dante
il gusto
per la narrazione
Un’intensa
sperimentazione
Leonardo da Vinci o la sua
scuola,
Le Tre corone e la
dama ideale
, particolare
con le caricature di Dante,
Petrarca e Boccaccio.
Venezia, Galleria
dell’Accademia.
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